Strakosha e quel “fiore nato dal letame”…

La vita a volte è strana, perché anche se tutti abbiamo la sensazione di percorrere un percorso già segnato sul grande libro del destino, dietro l’angolo c’è sempre qualche sorpresa. A volte positiva, a volte negativa, ma il bello della vita sta proprio nel fatto che in qualche occasione anche da una cosa negativa può nascere qualcosa di positivo, di meraviglioso. Perché come cantava De André: “Ama e ridi se amor risponde… Piangi forte se non ti sente… Dai diamanti non nasce niente… Dal letame nascono i fior”.
Dal letame di Istanbul, da quell’errore che può uccidere un toro, figuriamoci un ragazzo già fragile di suo finito da un anno e mezzo in una sorta di tunnel senza via d’uscita, forse domenica è nato un fiore, una piccola speranza di rinascita. Sto parlando, chiaramente, di Thomas Strakosha, uno dei portieri meno amati nella storia della Lazio. E non solo per colpa sua.
Questo ragazzo ha sempre giocato con l’etichetta del raccomandato appiccicata sulle spalle, da quando è sbarcato a Formello a 17 anni perché figlio di un amico di Igli Tare. Nato ad Atene e cresciuto calcisticamente nel Paniōnios, ma albanese di nazionalità, Strakosha è stato uno dei tanti connazionali di Tare approdati a Formello. Questo è stato un vantaggio da un punto di vista calcistico ma un peso enorme da portare a livello ambientale, perché a Roma e nel mondo Lazio Igli Tare non è mai stato amato. E di conseguenza, nessuno ha mai visto di buon occhio i membri di quella colonia albanese che si è insediata a Formello.
Strakosha ha fatto tutta la trafila, ha vinto lo scudetto con la Primavera e quando ha scalzato Berisha prima e Marchetti poi in molti hanno storto la bocca, perché aveva difetti evidenti: ottimo tra i pali, incerto nelle uscite, disastroso o quasi con la palla tra i piedi.
“Deve solo maturare”, “sono errori di gioventù che spariranno con il lavoro e l’esperienza”, si è sempre detto di Strakosha. Ma passavano gli anni e quei difetti non sparivano. Anche perché senza una reale alternativa alle spalle (perché i vari Vargic e Proto erano improponibili anche come secondi, figuriamoci come titolari) il ragazzo si è sempre sentito tranquillo, inamovibile, insostituibile. E in queste condizioni è difficile maturare, crescere sia tecnicamente che dal punto di vista caratteriale.
E come a Formello è sbarcato un portiere vero, uno con grande esperienza e carisma, Thomas Strakosha ha perso tutte le certezze accumulate in quei primi 8 anni di Lazio. E al primo errore è crollato. Nel giro di poche settimane Thomas è passato dall’altare alla polvere, dalla vetrina allo scantinato, dal posto certo ai pochi minuti che gli regalava Simone Inzaghi che quel ragazzo lo aveva visto crescere e lo aveva cresciuto a Formello, promuovendolo titolare inamovibile.
E settimana dopo settimana Strakosha ha perso tutte le sue certezze, anche quel pizzico di arroganza che mostrava in campo quando dopo un gol subito urlava contro i compagni e non chiedeva mai scusa anche se a sbagliare era stato lui, masticando quella gomma dal sapore sempre più amaro.
Thomas è uscito dal mondo Lazio, anche a causa di un contratto in scadenza che la società non aveva il coraggio di rinnovare a certe cifre e che lui non voleva rinnovare senza avere la garanzia, anzi, la certezza di riavere quel posto da titolare. Come se quella maglia numero uno fosse una clausola contrattuale o un posto fisso al ministero e non un qualcosa che si deve meritare sul campo, battendo la concorrenza.
E poi è arrivata la notte di Istanbul. La chance di rinascita si è trasformata in una sorta di Waterloo, con una papera colossale trasmessa in mondovisione che è costata la sconfitta alla Lazio e la fucilazione mediatica a Strakosha.
Le lacrime trattenute a stento sul terreno di gioco, da solo in quella metà campo deserta, senza nessuna spalla a cui appoggiarsi, senza una solidarietà visibile da parte dei compagni. Poi il pianto vero, la disperazione leggendo i giornali e i social. E lì, proprio nel momento più difficile, quello del letame mediatico lanciato a piene mai, è successo un piccolo miracolo.
Danilo Cataldi, uno che ha sofferto sulla sua pelle gli umori di una piazza che in un amen ti porta sull’altare e alla stessa velocità ti getta nella polvere, si è fatto 70 metri di corsa per andare ad abbracciare Thomas in panchina dopo il gol del 2-2. Ma quello è stato solo il finale da libro cuore di una domenica speciale, da Lazio.
Entrato all’Olimpico con il cuore a pezzi e il timore di essere accolto da una bordata di fischi, Thomas Strakosha ha ricevuto in un colpo solo tutto quell’affetto che non aveva mai ricevuto nei 9 anni precedenti. Perché il laziale è fatto così: rompe i coglioni, ti critica anche in modo feroce, ma se ti vede in difficoltà non ti piazza in fronte il colpo di grazia, ti tende una mano.
NON TI CURAR DI LORO MA GUARDA E PARA. DAJE STRAKOSHA, recitava quello striscione che parafrasava un verso di Dante e campeggiava al centro della Curva Nord. E quando Thomas lo ha visto e ha sentito la gente urlare il suo nome, le lacrime di dolore si sono tramutate in lacrime di commozione. E in quel momento, come nello scambio di sms con Peruzzi dopo la fine di Galatasaray-Lazio e poi con quell’abbraccio dopo il gol di Cataldi, è nato un nuovo Strakosha.
Se il nuovo Strakosha sarà o no meglio di quello di prima, lo scopriremo solo quando Sarri deciderà di lanciarlo nella mischia, probabilmente nella sfida di Europa League del 30 settembre all’Olimpico contro la Lokomotiv Mosca. Ma una cosa è certa. Per l’ennesima volta, dal letame è nato un fiore…
